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Paura del vuoto di Silvia De Angelis: un viaggio poetico nell’essenza dell’esistenza. Recensione di Alessandria today
La poesia "Paura del vuoto" di Silvia De Angelis è un'opera densa e simbolica che esplora il concetto di vuoto come limite, ma anche come spazio per una rinascita spirituale e creativa.
La poesia “Paura del vuoto” di Silvia De Angelis è un’opera densa e simbolica che esplora il concetto di vuoto come limite, ma anche come spazio per una rinascita spirituale e creativa. Analisi della poesiaIn questa composizione, il vuoto non è un semplice stato di assenza, ma diviene un simbolo di sfida esistenziale, un terreno fertile dove idee e sentimenti si scontrano e si fondono. Il sole,…
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Il carattere in psicologia: articolo introduttivo al concetto di automatismo comportamentale
Esplorare il concetto di carattere in psicologia è una sfida affascinante, poiché si tratta di un fenomeno tanto complesso quanto sfuggente. Il carattere è più di una semplice descrizione dei tratti comportamentali di un individuo; è piuttosto il tessuto stesso della nostra esperienza, il modo unico in cui ogni persona interagisce con il mondo che la circonda. Per comprendere appieno il…
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Che storia meravigliosa. La conoscevo, certo, ma ieri ho avuto il privilegio di ascoltarla direttamente da una persona legata all’ex proprietà. Una di quelle occasioni che ti fanno venire voglia di fermarti, ascoltare e, sì, prendere appunti.
Luisa Spagnoli e Giovanni Buitoni. Un amore che non avrebbe mai dovuto esistere, eppure è esistito. Segreto, proibito, ma inarrestabile, come ogni cosa vera. Lei, sposata, madre di tre figli, con quattordici anni di troppo per un mondo che non perdona. Lui, giovane, brillante, capace di vedere oltre. In lei, non solo una donna, ma un’idea, un atto di sfida. Da quella relazione impossibile nascono i Baci Perugina, che non sono mai stati solo cioccolatini. Sono l’amore che resiste, il manifesto di chi sceglie di vivere, nonostante tutto.
I bigliettini che Luisa infilava nei cioccolatini per Giovanni erano più che parole: erano vita, cuore, rivoluzione. Quei messaggi, diventati i cartigli, sono la prima forma di trigger emotivo nella storia del prodotto. Non è più solo cioccolato: è gesto, è storia, è amore che si racconta. È lì che nasce l’ancoraggio emozionale. Non compri un dolce. Compravi lei. Lui. Loro.
La scelta del nome, da “Cazzotto” a “Bacio”, è un caso lampante di reframing linguistico, dove il focus si sposta dalla rudezza al gesto romantico. Giovanni Buitoni intuì che il linguaggio non era solo descrizione ma percezione, e che un termine sbagliato poteva distruggere la magia. “Bacio” diventò così il frame perfetto: semplice, diretto, evocativo.
L’incarto argentato con stelle blu, disegnato da Federico Seneca, è semiotica visiva al suo massimo. L’argento grida preziosità, le stelle parlano di sogni, e i due amanti, ispirati a “Il Bacio” di Hayez, consolidano il frame emozionale. Non è solo un packaging: è una narrazione visiva che colpisce il cuore prima ancora del palato.
I Baci Perugina non sono mai stati solo cioccolatini. Sono pezzi di storia italiana, un intreccio di coraggio, imprenditorialità e comunicazione al massimo livello. Metafore visive, parole che restano, un equilibrio perfetto dove ogni elemento – nome, cartigli, packaging, campagne – parla la stessa lingua. Una storia d’amore privata che si trasforma in linguaggio universale. Non si vende cioccolato. Si vende un sogno. Un sogno che continua, immutato, a emozionare.
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Ed eccoci di nuovo qui con la rubrica a cadenza mensile e precisamente l'ultimo giorno di ogni mese, curata dalla nostra utente e amica Valentina Pace
Questa rubrica nasce anche e soprattutto da una riflessione che ci accompagna da un po' di tempo: per una "piccola" biblioteca di un piccolo paese non è sempre facile stare al passo con le richieste, i suggerimenti, le necessità degli utenti e non. Per questo motivo, con l'aiuto di Valentina scopriremo nuovi autori e nuove letture, consigli e spunti di riflessione, insieme a curiosità e notizie sui nostri cari libri. E allora, diamo il benvenuto a questo nuovo spazio culturale dove si viaggerà alla scoperta delle case editrici indipendenti: ʟᴇᴛᴛᴜʀᴇɪɴᴅɪᴇ.
La casa editrice di questo mese è: Neri Pozza
Buona lettura a tutti!
OMICIDIO A CAP CANAILLE - CHRISTOPHE GAVAT
“… il comandante sa bene che i delinquenti marsigliesi non hanno nulla da invidiare ai loro colleghi della capitale in materia di criminalità. In quanto a tecniche per uccidere il prossimo il marsigliese, benché provinciale, non manca mai di immaginazione, e tiene a dimostrare al parigino che in questo campo, come su quello da calcio, il migliore è lui. E che non ha paura di dégun – di nessuno.”
Cos’hanno in comune un cadavere carbonizzato trovato nel portabagagli di un’auto abbandonata a Marsiglia: il cosiddetto “barbecue”, un sistema atroce per regolare i conti tra fuorilegge, con una serie di rapine a furgoni portavalori a Parigi?
Il comandante Henri Saint-Donat, da poco trasferito alla Brigata criminale della città provenzale dal 36 quai des Orfèvres, la celeberrima sede della Polizia giudiziaria di Parigi, capisce subito di trovarsi di fronte ad un caso molto complesso.
Henri ha un curriculum di tutto rispetto, è un poliziotto di grande esperienza ed estrema sensibilità; dopo tanti anni di matrimonio è ancora molto innamorato della sua Isabelle, ma è anche un uomo tormentato a causa di una tragedia familiare che lo ha segnato nel profondo e di cui nessuno dei suoi colleghi è a conoscenza.
Negli uffici dell’Eveché, sede della polizia giudiziaria, nel dedalo di strade che attraversa La Cayolle, quartiere labirintico e malfamato di Marsiglia, nei corridoi delle Baumettes, il tetro penitenziario, Henri non è solo. Lo supportano il giovane tenente Basile Urteguy e il capitano Lucie Clert.
Basile è un ragazzo pieno di vita, un appassionato di musica, un genio dell’informatica e, allo stesso tempo, un poliziotto di grande perspicacia: nel corso dell’indagine il suo apporto sarà fondamentale.
Lucie, invece, è una forza della natura: una gran bella donna dal carattere impossibile che ha il brutto vizio di saltare subito alle conclusioni. Sul lavoro è testarda e professionale, ma la sua vita privata è un vero disastro. Chissà che non trovi l’amore proprio nel corso dell’indagine…
“Omicidio a Cap Canaille” è un polar di azione che mostra al lettore le tecniche di investigazione della polizia francese, ma dà anche molto spazio alla vita privata e ai sentimenti dei suoi protagonisti.
I capitoli sono estremamente brevi e il linguaggio è semplice, diretto, crudo nel raccontare l’evolversi dell’inchiesta giudiziaria, ma altrettanto evocativo nelle pagine dedicate alla descrizione dei luoghi e degli stati d’animo, anche quando i sentimenti, le emozioni e il privato dei protagonisti prendono il sopravvento sul dovere professionale.
L’autore, Christophe Gavat, è lui stesso un commissario della polizia francese e, leggendo il romanzo la passione per il suo lavoro, il rispetto e l’ammirazione per i colleghi sono del tutto evidenti.
“È ancora un piedipiatti nell’anima, perché ama quell’atmosfera ovattata e notturna dell’Evêché, dove i passi riecheggiano nei corridoi vuoti, dove solo poche luci negli uffici, qualche grido o un’invettiva qua e là suggeriscono che ci siano ancora dei poliziotti al lavoro. Lavorano sempre. Soprattutto, sa di amare quegli agenti dal carattere forte, che non mancano né di energia, né di abnegazione, né di senso dell’umorismo per svolgere ogni giorno con passione il loro mestiere, tanto da farlo anche di notte.”
COSA MI È PIACIUTO
La lettura di “Omicidio a Cap Canaille” è stata la mia prima esperienza con un polar e ho apprezzato moltissimo la descrizione vivida dei luoghi, l’approfondimento psicologico dei personaggi e l’analisi dei rapporti che si creano tra di loro.
COSA NON MI È PIACIUTO
Il finale prevedibile.
L’AUTORE
Christophe Gavat, nato nel 1966, è entrato in polizia nel 1989. Parigi, Marsiglia, Grenoble, Guyana: nella sua carriera pluritrentennale è stato decorato al valore, messo sotto inchiesta e reintegrato. Ha avuto a che fare sia con i grandi casi che catturano l’attenzione mediatica, sia con i piccoli casi quotidiani che lasciano il segno. Già autore di tre libri sulla sua vita di poliziotto, con questo suo primo romanzo si è aggiudicato nel 2021 il Quai des Orfèvres, premio deciso da 21 giurati tra poliziotti, avvocati, magistrati e giornalisti.
LA CASA EDITRICE
Neri Pozza è una casa editrice veneta rinomata e prestigiosa, fondata nel 1946 dall’omonimo scrittore e ha pubblicato, nel corso degli anni, opere di autori molto famosi della letteratura italiana come Carlo Emilio Gadda, Eugenio Montale, Goffredo Parise, Massimo Bontempelli, Giuseppe Berto ai quali si affiancano oggi nomi internazionali grandiosi quali Romain Gary, Natsuo Kirino, Tracy Chevalier, Eshkol Nevo, Herman Koch.
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Roberto Roversi, Giovanni Raboni, due raccolte di versi per raccontare la Storia.
«Versi guerrieri e amorosi» (Einaudi, 1990) di Giovanni Raboni, e «Dopo Campoformio» (Einaudi, 1965) di Roberto Roversi, sono due raccolte che in modo diverso si rapportano alla storia, trasfigurando – la prima – episodi personali, e utilizzando un approccio materialista per evocare episodi collettivi – la seconda.
«Dopo Campoformio» (scritto tra il 1955-1960 a eccezione della poesia dedicata al Vajont) è un racconto in versi dalla pianura del Po, tra il Dopoguerra e gli anni Sessanta. È il paesaggio, con la natura, il duro lavoro dei campi, l’argomento principale. Le specie vegetali, le specie animali della vita campagnola, il cane, l’asino. La durezza della vita nei campi. L’inizio di un sottile cambiamento sociale, con un passaggio di testimone tra generazioni. L’anelito è storico, Treblinka, Hiroshima. Roberto Roversi scrive da un paesaggio, il suo, emiliano, degli anni Sessanta, di coloro che durante la seconda guerra mondiale erano bambini e adesso hanno venti anni, e hanno vissuto da vicino l’atrocità della guerra.
«Dopo Campoformio» è la cifra stilistica (Stefano Giovanardi) più equilibrata e riuscita, nell’arco spazio-temporale, almeno fino a metà anni Novanta, di Roberto Roversi.
L’autore in «Dopo Campoformio» segue tre attitudini che mutano nel corso della lettura, in una raccolta dall’ideale andatura poematica. La prima parte è storica, più storica e meno cronachistica, il linguaggio è più aderente alla visione e meno alla poesia. Nella parte centrale (sia per le assonanze interne, che per il metro, spesso tradizionale) è come se Roversi prendesse consapevolezza del discorso poetico entro il quale ci si deve muovere, pur raccontando la storia recente: è come se nella parte centrale della raccolta la poesia sia preponderante. La parte conclusiva, appena prima di «La bomba di Hiroshima», si avvia verso un finale di cronaca, dedicato al Vajont, volutamente confuso, «Iconografia ufficiale» perché riprende, trasmettendo la concitazione del momento e il susseguirsi di notizie, il narrato giornalistico dei fatti del 9 ottobre 1963. A una partenza, un abbrivio quasi epico e evocativo del passaggio dalla fine della guerra all’epoca contemporanea, segue una parte più didascalica, anche se questo aggettivo in poesia ha un’accezione così negativa che andrebbe revisionata, più che di “didascalia” si potrebbe parlare di “racconto in versi”. La parte finale si trasforma lentamente in una presa d’atto fotografica del reale. Gli echi poetici colgono nel Novecento storico, con “terre desolate”, “bosco sacro”, “lume spento”, facendo pensare che sull’asse Eliot-Pound si possa cogliere anche quell’ispirazione al «montaggio» della fabbrica poetica; d’altro canto “lo spedale”, “gli unguenti”, “le umane genti dissidenti”, sono piccole forme di resistenza a un lessico, che lascia poi il passo alla sperimentazione, con riferimenti, citazioni nascoste, passaggi anche metricamente e consapevolmente tradizionali.
Ci si può costruire un epos della terra, un nostos? I titoli delle sezioni dedicate al paesaggio sono per l’appunto «Una terra», «La raccolta del fieno», «Pianura padana», vicini come sensibilità alla poetica di Attilio Bertolucci, per citare un esempio analogo per longitudini e latitudini, anche se qui si tratta del vero e proprio romanzo in versi, «La camera da letto» dove Bertolucci mette il luogo e la storia individuali al centro, mentre «Dopo Campoformio» mette la Storia al centro, in un luogo meta-storico che viene creato per farvi agire la scrittura. Dopo sessanta anni il risultato, che conserva uno sperimentalismo vivido, non proviene da una tradizione, né la crea, essendo debitore di un’atmosfera da messa in discussione della storia, cantiere aperto, tipica del periodo a ridosso e finalmente fuori dal secondo conflitto mondiale. Gli anni Sessanta con gli ex-fascisti scampati all’epurazione post-bellica che erano stati reinseriti nell’Italia Repubblicana, doveva essere difficile da esperire e digerire.
Roberto Roversi, nella nota che accompagna i testi in coda al volume, cita il preciso momento storico in cui sono nate queste poesie: «Scritte tra il 1955 e il 1960 (tranne l’ultima che è un montaggio), le composizioni che qui si ripresentano, dopo una diversa edizione, hanno una collocazione dentro a un tempo ben preciso in cui vogliono e devono confondersi e riconoscersi (dai fatti d’Ungheria all’esplosione di Krusciov); e in cui trovano i rimandi e i riscontri necessari per l’intelligenza delle cose dette o solamente accennate con arguzia (spesso con un autentico dolore intellettuale). In quel tempo imprevedibile e caotico nel senso del nuovo che cominciava, si collocano; e con questo tempo affatto remoto (e i suoi atti e i suoi fatti) amano misurarsi e scontrarsi».
«Dopo Campoformio», cioè, nasce da una frattura storica, da un dialogo col presente, da una critica sia costruttiva che decostruttiva dei fatti, da una presa di posizione con la politica. Sta qui il senso del rapporto tra il poeta e la realtà, un senso che oggi sarebbe sempre più auspicabile in poesia.
«Versi guerrieri e amorosi» di Giovanni Raboni, contiene, nella sua prima sezione, poesie in cui viene evocata con realismo e crudezza l’atmosfera quotidiana in cui si viveva durante la seconda guerra mondiale. Raboni allora aveva tra gli otto e i dodici/tredici anni, mescola i ricordi personali a quelli di chi viveva la stessa situazione. Sono poesie che aspirano visivamente a una forma chiusa, scritte da un uomo che ha superato i cinquanta anni, e che si confronta con una lingua “altra” (solo con due ‘incursioni’ esterne, “audio”, “superfuturo”), un gergo proveniente dal passato. La guerra è tutta qui, nel suo orrore, nella spietatezza che viene trasfigurata dallo sguardo poetico «Non stava a noi risolvere / il rebus della cena / scaraventando in scena / le sostitute povere // delle pietanze a poca / luce d’acetilene / o abbreviando le pene / gutturali dell’oca // ma essere personaggi / di quella storia, perdere / proprio quella partita // quando per contumacia / di te s’era smarrita / in un forno la vita».
Se l’atteggiamento di Roversi nei confronti della storia è quello del cronista, il Raboni dei «versi guerrieri» si fa reduce e sopravvissuto, e descrive in prima persona gli stati d’animo e gli episodi della quotidianità in guerra. La trasfigurazione che realizza grazie all’utilizzo di una forma tradizionale affida la storia alla poesia e, a distanza di trentacinque anni leggiamo un diario poetico che però non ha nessuno dei difetti stilistici e delle scadenze (non “scansioni”) temporali del diarismo. All’inizio della raccolta una citazione di Goethe: «Bisogna confessare che ogni poesia converte i soggetti che tratta in anacronismi» – non in “astoricismi” – ci mette in guardia sul fatto che il lirismo è la chiave d’accesso per una realtà che, descritta, cessa di essere immediatamente sé stessa per divenire simbolo, di tutte le guerre, di tutti gli amori, di tutte le persecuzioni, in un anelito del quale l’individuo non cessa di importare alla storia bensì termina nella poesia una parabola egoica e si abbandona a un flusso di fatti. Una poesia che ci racconta di tutti, ma che sarebbe impossibilitata a farlo se non fosse racconto di uno; non si tratta comunque di cronaca ed è molto più “dantesca” rispetto alla “storiografia poetica” di «Dopo Campoformio».
Quello che emerge dai «Versi guerrieri e amorosi» di Giovanni Raboni è un sentimento che la forma rigorosa non trattiene né nasconde, anzi, sembra quasi che il rigore formale coincida con l’umana dignità, e sia l’unica cosa capace di trattenerci dal pianto.
Luciano Pagano
(in foto Giovanni Raboni, Roberto Roversi, fonte Wikipedia)
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**Tono e umore:** Il tono è riflessivo e introspettivo, evocando un senso di nostalgia e desiderio. L'umore è venato di tensione e disagio, in particolare per quanto riguarda la lotta del protagonista con l'identità e le norme sociali.
**POV:** Il pezzo è scritto in prima persona, consentendo un'esplorazione personale e intima dei pensieri e dei sentimenti del narratore. Il tempo è prevalentemente al passato, creando un senso di reminiscenza.
**Vocabolario e scelta delle parole:** Il vocabolario è diretto ma evocativo, con un mix di linguaggio colloquiale e formale. L'autore utilizza termini specifici relativi alle esperienze del protagonista, come "gioco erotico" e "omosessualità", che aggiungono profondità alla narrazione. Il linguaggio figurato è minimo ma efficace, e accresce il peso emotivo del viaggio del protagonista.
**Struttura della frase:** Le frasi variano in lunghezza, con un mix di strutture complesse e semplici. Alcune frasi sono elaborate e descrittive, mentre altre sono concise, riflettendo il conflitto interiore del protagonista. L'uso di frammenti e di vari tipi di frasi contribuisce al ritmo generale della narrazione.
**Ritmo e ritmo:** Il ritmo è moderato, consentendo momenti di riflessione intervallati da rivelazioni emotive più intense. Il ritmo varia tra passaggi più lenti e contemplativi e momenti più rapidi e urgenti, in particolare durante gli incontri del protagonista con Antonino.
**Dialogo:** C'è un dialogo diretto minimo nell'estratto, ma il monologo interiore del protagonista trasmette un forte senso della voce. Gli schemi del discorso sono informali, riflettono la giovinezza e l'innocenza dei personaggi, evidenziando anche la gravità della loro relazione segreta.
**Stile descrittivo:** l'autore impiega immagini sensoriali vivide per descrivere l'aspetto fisico e le esperienze emotive del protagonista. Il livello di dettaglio è sufficiente per creare un quadro chiaro dell'ambientazione e dei personaggi, evocando anche i sentimenti di confusione e alienazione del protagonista.
**Temi e motivi:** i temi ricorrenti includono identità, segretezza e la lotta contro le norme sociali. Il motivo della natura, rappresentato dall'ambientazione rurale, contrasta con il tumulto interiore del protagonista, enfatizzando sentimenti di isolamento e desiderio di accettazione.
**Contesto culturale e storico:** la narrazione è ambientata negli anni '70 in Italia, un periodo in cui l'omosessualità era fortemente stigmatizzata. Questo contesto culturale informa le esperienze e i sentimenti di vergogna e paura del protagonista, plasmando lo stile generale e la profondità emotiva del pezzo.
**Tone and Mood:** The tone is reflective and introspective, evoking a sense of nostalgia and longing. The mood is tinged with tension and unease, particularly regarding the protagonist's struggle with identity and societal norms.
**POV:** The piece is written in the first-person point of view, allowing for a personal and intimate exploration of the narrator's thoughts and feelings. The tense is predominantly in the past, creating a sense of reminiscence.
**Vocabulary and Word Choice:** The vocabulary is straightforward yet evocative, with a mix of colloquial and formal language. The author employs specific terms related to the protagonist's experiences, such as "gioco erotico" and "omosessualità," which add depth to the narrative. Figurative language is minimal but effective, enhancing the emotional weight of the protagonist's journey.
**Sentence Structure:** The sentences vary in length, with a mix of complex and simple structures. Some sentences are elaborate and descriptive, while others are concise, reflecting the protagonist's internal conflict. The use of fragments and varied sentence types contributes to the overall rhythm of the narrative.
**Pacing and Rhythm:** The pacing is moderate, allowing for moments of reflection interspersed with more intense emotional revelations. The rhythm shifts between slower, contemplative passages and quicker, more urgent moments, particularly during the protagonist's encounters with Antonino.
**Dialogue:** There is minimal direct dialogue in the excerpt, but the internal monologue of the protagonist conveys a strong sense of voice. The speech patterns are informal, reflecting the youth and innocence of the characters, while also highlighting the gravity of their secret relationship.
**Descriptive Style:** The author employs vivid sensory imagery to describe the protagonist's physical appearance and emotional experiences. The level of detail is sufficient to create a clear picture of the setting and characters, while also evoking the protagonist's feelings of confusion and alienation.
**Themes and Motifs:** Recurring themes include identity, secrecy, and the struggle against societal norms. The motif of nature, represented by the rural setting, contrasts with the internal turmoil of the protagonist, emphasizing feelings of isolation and longing for acceptance. **Cultural and Historical Context:** The narrative is set in the 1970s in Italy, a time when homosexuality was heavily stigmatized. This cultural backdrop informs the protagonist's experiences and feelings of shame and fear, shaping the overall style and emotional depth of t
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Porto Raro incanta con “The Window”: una riflessione musicale sul tempo e l’amore
Un singolo toccante disponibile dal 15 novembre sugli store digitali e dal 27 dicembre in promozione radiofonica nazionale
Il progetto musicale Porto Raro offre una profonda esplorazione di emozioni universali attraverso un suono che unisce radici classiche, flamenco, jazz, ed elettronica. Con il nuovo singolo “The Window”, pubblicato il 15 novembre 2024, si rappresenta un momento importante nel percorso artistico dei Porto Raro, anticipando l’uscita dell'EP prevista per gennaio 2025. “The Window” è molto più di una semplice canzone d'amore. È un viaggio emotivo che mescola chitarre acustiche rock, pianoforti eterei e synth oscuri per raccontare la storia di due anime che si separano mentre il tempo scivola inesorabilmente. Il testo invita l’ascoltatore a riflettere su quanto il tempo possa essere sia un limite illusorio che un’opportunità di introspezione. Come afferma il duo, “L'uomo che non ha paura del tempo riesce a guardarsi dentro senza timori o rimpianti”, un tema centrale che rende il brano profondamente toccante e universale.
Ascolta il brano
Porto Raro nasce nel 2020 dall'incontro tra Pantaleo Rizzo, chitarrista e cantante con una formazione in chitarra classica, e Roberto Pinto, pianista jazz con una passione per l’elettronica. Le loro influenze si intrecciano per creare un sound unico, dove le armonie flamenco incontrano le suggestioni spaziali dei synth e le improvvisazioni jazz. Il progetto si ispira alla filosofia artistica del Duende, celebrata da Federico García Lorca, cercando di trasformare immaginazione ed emozione in un viaggio musicale evocativo. Dopo aver vinto il Premio Aniello De Vita con il brano “Estrella en el mar”, Porto Raro si conferma una realtà musicale innovativa e ricca di poesia. Con “The Window”, il duo dimostra quanto intimità emotiva e sperimentazione sonora possano diventare un linguaggio universale.
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Pantaleo Rizzo: https://www.instagram.com/pantaleo.rizzo_music.page Roberto Pinto: https://www.instagram.com/rpntmusic_/
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«Questa è l’acqua e questo è il pozzo. Bevi a fondo e discendi. Il cavallo è il bianco degli occhi e oscuro all'interno.»
Questa frase, pronunciata dal Boscaiolo in Twin Peaks, è ricca di simbolismo e ha lasciato molti spettatori perplessi.
Interpretazioni possibili:
* Viaggio interiore: L'acqua può rappresentare l'inconscio, il pozzo l'abisso da esplorare. Bere a fondo significa immergersi completamente nei propri pensieri e paure.
* Connessione con l'oscurità: Il cavallo, con il suo bianco degli occhi e l'interno oscuro, potrebbe simboleggiare la dualità dell'essere umano, la parte luminosa e quella oscura che coesistono.
* Rito iniziatico: La frase potrebbe far riferimento a un rituale oscuro, un passaggio verso un mondo sconosciuto e pericoloso.
Perché è così affascinante?
* Ambiguità: Non esiste un'unica interpretazione corretta, lasciando spazio a diverse letture personali.
* Atmosfera inquietante: Contribuisce a creare l'atmosfera misteriosa e inquietante tipica di Twin Peaks.
* Linguaggio evocativo: Le immagini create dalle parole sono potenti e suggestive.
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Mìcol Mei presenta Pola.Child(Free): un nuovo progetto fotografico sulla libertà e l'identità
Mìcol Mei presenta Pola.Child(Free): un nuovo progetto fotografico sulla libertà e l'identità
di Redazaione La fotografa e artista Mìcol Mei annuncia il lancio del suo nuovo progetto fotografico intitolato Pola.Child(Free), un’opera visiva che si propone di sfidare le convenzioni sociali radicate e celebrare la libertà individuale in tutte le sue forme. Con un linguaggio visivo evocativo e potente, Mei invita il pubblico a riflettere sull’importanza di abbracciare se stessi, al di là…
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Mostra antologica di Raffaele Boemio
“Arie sottili di natura sospesa”
opere 1971 - 2024
“Arie sottili di natura quasi s/velata”
Presentazione di Sandro Bongiani,
Salerno, 8 ottobre 2024
L'arte per Raffaele Boemio è ricerca e ossessione. Un raccontare per arie sottili e per frammenti sottesi di materia lirica recuperati dalla memoria e rinati in uno spazio mentale carico di umori e essenze nascoste. Il percorso artistico e pittorico di Raffaele Boemio comprende un periodo di oltre 53 anni di lavoro sempre teso a ricercare un senso concreto da assegnare alla vita. Un lungo e intenso lavoro svolto dal 1971 a oggi a partire dal ciclo iniziale “Biographico” e poi, dalle opere digitali di “Afona”, “Quasi svelato” e “Semiosi”, in cui la dimensione ambientale ha sempre avuto nella sua ricerca un ruolo e un potere evocativo. L’attuale ciclo pittorico chiamato “Semiosi” accoglie i precedenti cicli e sintetizza appieno con un linguaggio maturo e coinvolgente tutta la sintesi assorta e visionaria dell’artista campano. Una pittura rinnovata e evanescente che nasce dai meandri oscuri della memoria per condensarsi in modo provvisorio e precario in un tempo sospeso della realtà e della vita.
Al chiasso assordante e caotico di questa distratta società di oggi preferisce il silenzio, l’attesa e la riflessione, lo stesso Raffaele Boemio ci racconta: “Ci sono giorni di silenzio, a volte mesi dove nulla nel mio studio accade, poi qualcosa succede. Questa pittura racconta, emette suoni, si dispone d’un tratto come in un equilibrio perfetto, inatteso, prendendo forma, e, a me svelando o quasi, sogni e visioni e il senso intimo delle cose”. Un linguaggio decisamente visionario carico di umori e di incertezze dove l’apparire diviene presagio di forme appena visibili di natura insolita e primitiva che dal profondo delle ceneri germoglia in totale libertà a nuova vita e in cui transitano esseri anonimi come nelle opere del ciclo “Biographico” del 1998, oppure, forme e presenze misteriose nate dalla memoria e presenti già nelle opere del 2017 fino a oggi, che provvisorie si evolvono assumendo sembianze alquanto imprevedibili.
Ogni opera nell’essenzialità dell’agire è sempre una nuova improvvisa sorpresa di un mondo oscuro in cui il tempo, l’attesa, la sospensione, l’etereo sono i segni di un esistere invisibile che si colloca a mezz’aria tra cielo e terra in attesa di una possibile catarsi per poter comprendere meglio il mondo. Non è un caso se in natura un seme di una pianta rimane nascosto per lunghi mesi sotto la terra, aspettando che passi l’inverno prima di germogliare. Si direbbe una sorta di stasi, di dormiveglia continuo e assorto in attesa di una nuova possibile rivelazione.
Per certi versi il suo è un indagare per sospensione tra tangibilità e immaginazione sulla natura inquieta dell’esistenza che affiora spesso con la presenza di figure dai tratti oscuri, stabilizzandosi momentaneamente in una visione di un immaginario del tutto inaspettato. Quello che si avverte di certo è una tensione tra visibile e invisibile, un’essenza nascosta, che sembra emergere da una zona remota di un tempo insostanziale dove le figure appaiono frammenti di un linguaggio interiore che evocano suggestioni e silenzi lungamente celati.
Le opere in particolare dell’ultimo ciclo “Semiosi” riflettono una dimensione che trascende il visibile, restituendo una visione inedita e in evoluzione del paesaggio che si apre alla rivelazione con una forte energia nascosta. Una natura del tutto inaspettata in cui la germinazione e la riemersione diviene presupposto sfuggente dell’apparire tra terra e cielo di presenze e forme indefinite che nella trascendenza e nella immediatezza del vivere condividono generosamente l’attesa e l’incertezza del mondo.
Una realtà decisamente in equilibrio precario, tra sperimentazione e apparizione attraverso delicate variazioni cromatiche, - come afferma Michelangelo Giovinale - in “un crescendo che mostra il saper cogliere “nelle zone del proprio essere” la realtà e la forza intrinseca della forma, delle cose che il suo sguardo penetra, e che, come in un viaggio immaginario sono destinate ad abitare atmosfere di inediti”, di strani rizomi ri/trovati e divenuti paesaggi evocati e portati in superficie, tra ascensioni e cadute, in un apparire di nature essenziali, che in questo attuale tempo di confusione e d’incertezza, cercano in qualche modo di dare un segno e un senso concreto alla vita distratta e sfuggevole degli uomini.
(Per questo evento antologico vengono presentati 60 opere scelte di Raffaele Boemio, dal 1971 a oggi cercando di fare una prima sintesi sulla ricerca svolta dall’artista napoletano).
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Febbraio – La nostalgia poetica di Rosetta Sacchi. Un mese tra il gioco della natura e il ricordo dell’amore lontano. Recensione di Alessandria today
"Febbraio" è una poesia che dipinge il secondo mese dell’anno come un quadro mutevole, capace di alternare bufere e quiete, malinconia e dolcezza.
Biografia dell’autrice.Rosetta Sacchi, poetessa di straordinaria sensibilità, ha saputo distinguersi nel panorama letterario per la capacità di cogliere l’essenza della natura e delle emozioni umane. Attraverso i suoi versi, Rosetta riesce a evocare immagini vivide e profonde, intrecciando la bellezza dei paesaggi con sentimenti universali come l’amore, la nostalgia e il desiderio. La sua poesia…
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Teologia cattolica: storie di Coscienza
La teologia morale cattolica assume come dato “scientifico” che la coscienza non possa essere detta usando un linguaggio scientifico ma adoperando invece un linguaggio evocativo. La Chiesa cattolica ha smesso o non ha mai iniziato a trattare la coscienza come “struttura” empiricamente sperimentabile, manipolabile o penetrabile. Sicuramente essa è riflessione e sinderesi1, ma se parole dobbiamo…
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Vernise, "Punti luce": recensione e streaming
Punti Luce è l’ep d’esordio di Vernise, disponibile su tutte le piattaforme digitali e anticipato qualche settimana fa dall’uscita dell’omonimo brano. Un ep che racconta un nuovo inizio che mette radici in una visione del mondo differente. Attraverso l’uso di un linguaggio evocativo lunghi corridoi mentali, che accompagnano il percorso di crescita, vengono abbattuti. Punti Luce parte dalla…
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FRANCA MAGNOLATO. Acqua, aria, fuoco e terra
Di famiglia di artisti da due generazioni Franca Magnolato usa l’intensità del colore con un potente linguaggio evocativo
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Roland Barthes: il saggista rivoluzionario simbolo del Novecento
Roland Barthes, celebre intellettuale francese del XX secolo, è stato un saggista tra i più influenti e innovativi del suo tempo. Nato a Cherbourg nel 1915, Barthes ha trascorso gran parte della sua vita a Parigi, dove ha sviluppato una straordinaria carriera accademica e letteraria che ha lasciato un'impronta indelebile nel panorama culturale mondiale. Le letture giovanili del saggista Barthes A 19 anni, un forte attacco di emottisi lo costringe a letto per lungo tempo durante il quale legge autori quali Balzac, Mauriac, Giraudoux e numerosi Arsène Lupin. Durante il liceo aveva già avuto modo di apprezzare Mallarmé, Valéry, Jaurès, e soprattutto Proust che diventerà il suo autore di riferimento. Le sue numerose permanenze nel sanatorio saranno sempre occasione di studio fondamentali per la sua carriera. Dopo aver conseguito una laurea in letteratura e filosofia all'Università di Parigi, Barthes ha intrapreso una carriera accademica che lo ha portato a insegnare in diverse istituzioni prestigiose, tra cui l'École des hautes études en sciences sociales e il Collège de France. Durante la sua vita, ha anche lavorato come critico letterario, saggista e semiologo, contribuendo in modo significativo alla teoria letteraria e alla critica culturale. Barthes saggista: il "grado zero" Barthes è stato autore di importanti saggi critici sulla narrativa contemporanea. Ha indagato il rapporto esistente tra la lingua nella sua doppia manifestazione: patrimonio collettivo e veicolo del linguaggio individuale. Ha sviluppato un'importante teoria semiologica che supera le tesi accademiche per interrogare i testi. Celebre la sua teoria del "grado zero": il mondo del parlato che è la più importante specificità della narrativa del suo tempo. La semiologia, o lo studio dei segni e dei simboli e del loro significato nella comunicazione umana, occupa un posto importante nella sua produzione saggistica. Attraverso la sua analisi dei testi letterari, dei media di massa e della cultura visiva, Barthes ha indagato sulle strutture di significato sottostanti che influenzano la nostra comprensione del mondo. I saggi più famosi di Roland Barthes Il saggio più famoso di Barthes è senza dubbio "Il grado zero della scrittura" nel quale distingue la lingua in quanto strumento neutro dell'espressione e per questo involontario e la lingua formale attraverso la quale l'uomo compie delle scelte etiche. Un altro saggio iconico di Barthes è "La camera chiara. Nota sulla fotografia", pubblicato nel 1980. In questo lavoro, che è una riflessione sulla fotografia, Barthes esplora il potere evocativo e simbolico delle immagini fotografiche, analizzando il modo in cui esse catturano e trasmettono il senso di realtà e memoria. Barthes distingue tre elementi nella fotografia: l'autore della fotografia, il fruitore e il soggetto immortalato. In questo schema, il fruitore ha due modi di recepire le fotografie: il primo è razionale e si fonda sulle informazioni che la foto stessa può fornire; il secondo è emotivo e scaturisce da un dettaglio della foto che colpisce lo spettatore. Eredità di Roland Barthes Anche dopo la sua morte nel 1980, l'influenza di Roland Barthes ha continuato a essere rilevante nel campo della teoria letteraria, della critica culturale e della filosofia. Le sue idee radicali e la sua scrittura brillante hanno ispirato generazioni di studiosi e intellettuali, contribuendo a ridefinire il modo in cui pensiamo alla cultura, alla comunicazione e alla creatività. Attraverso i suoi saggi rivoluzionari, Barthes ha dimostrato il potere della parola scritta nel provocare la riflessione, la discussione e la trasformazione sociale. In copertina foto di Michal Jarmoluk da Pixabay Read the full article
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